Festeggiare mezzo secolo di storia non è un punto di arrivo: è un intermezzo. Per gioire dei propri successi, per condividere il momento con gli attori, i calciatori e gli amici che da cinque decadi apprezzano l’arte sartoriale; per riflettere su quello che è stato e costruire un nuovo futuro «… di altri 50 anni almeno». Sorride, Carlo Pignatelli. Chi lo avrebbe detto che, da una bottega di quattro metri quadrati, lo stilista avrebbe rivoluzionato il mondo degli abiti da sposo? «Eppure, come ha dichiarato un caro amico in una recente intervista, chi come me sale sul treno della speranza – quello che portò Carlo Pignatelli dalla Puglia a Torino, ndr. – tagliando il cordone ombelicale con la propria terra, non parte mai per caso. Se parti significa che hai quel qualcosa in più che ti spinge ad affrontare l’incognita della vita. Perché, in qualche modo, intuisci il futuro che ti attende».
«Nacqui in una piccolo paesino della provincia di Brindisi, ultimo di otto figli.
Per contribuire alla famiglia mia madre mi mandò a fare la gavetta in una sartoria vicino casa. E dire che, allora, avevo l’impressione che l’ago e il filo non facessero per me. Sbarcato a Torino nel 1968, aprii una piccola bottega, coi servizi in cortile. Era il mio laboratorio e anche la mia camera da letto. I clienti arrivavano col passaparola: per loro creavo abiti su misura lavorando con la macchina da cucire fatta spedire dal paese. Oggi l’azienda fattura 21,5 milioni di euro e vendiamo dalla Spagna alla Cina, producendo collezioni maschili e femminili sartoriali grazie a 30 sarti, modellisti, ricamatrici e un ufficio stile di 20 persone che dirigo io stesso.
È stata la perseveranza e l’amore per il mio lavoro a portarmi lontano. Negli anni Ottanta ho cominciato ad affermarmi come couturier, creando abiti su misura, con un occhio rivolto alla cerimonia. Quando però nel 1984 decisi di chiudere la mia prima sfilata con l’uscita di un abito da sposo e uno da sposa, lì, da quella passerella, il pubblico percepì che qualcosa stava per cambiare nel mondo della moda; e io capii che il mio ‘sogno’ sarebbe stato quello di… regalare sogni».
«In una società in cui è sempre più difficile sognare a occhi aperti, credo che il matrimonio possa ancora essere l’occasione per concretizzare i propri sogni. Il mio passato artigianale, tutt’oggi presente nel modus operandi aziendale, mi permette di creare abiti su misura o che comunque si adattano perfettamente ai miei sposi, rappresentando al massimo l’eleganza intrinseca, unica, di ciascuno di noi. Per questo mi chiamano il principe della moda: adoro le favole e faccio di tutto per dar loro una forma. O una linea, potrei dire».
«La sartorialità, in equilibrio con l’innovazione made in Italy, è la parola chiave che consente di leggere e definire al meglio il mio marchio, in tutte le categorie di prodotto, collezioni ed espressioni. Ma nel DNA dell’etichetta gioca un ruolo determinante anche l’impegno costante nel rileggere, reinventare e, direi, anche rivoluzionare il concetto stesso di abbigliamento da cerimonia, per adeguarlo al nostro tempo, mantenendo sempre l’unicità in ogni creazione. Fin dalle mie prime collezioni il pubblicò apprezzò il mio desiderio di superare i canoni del tradizionale abito da sposo. Puntai al colore, ai tessuti lucidi, ai ricami, ai dettagli come gli accessori gioiello. A quei tempi lo sposo indossava il classico completo blu scelto dalla mamma. Con le mie proposte ci siamo discostati dagli eccessi della noia e dall’usualità del passato orientandoci verso look sorprendenti e stravaganti, grazie ad abbinamenti inediti e audaci, seppur sempre elegantemente equilibrati. Oggi Lui si informa, prova, confronta, come o anche più della sua compagna. Di questo, forse, me ne posso prendere il merito: è come se avessi creato un mondo che non esisteva. È proprio per rispondere a queste esigenze del ‘nuovo sposo’ che la Carlo Pignatelli crea a ogni stagione più collezioni, offrendo più opzioni di stile e spesa».